Nel luglio 2016, in un ristorante di lusso a Gigiri, sobborgo verdeggiante nella periferia di Nairobi, Ashleigh Gersh Miller, commerciante di tappeti incinta di nove mesi, ha incontrato Sandra Zhao, proprietaria di un panificio, durante un matrimonio di amici comuni. Sedute allo stesso tavolo, le due donne hanno cominciato a chiacchierare, e Ashleigh si è subito innamorata del vestito di Sandra: una tunica con il colletto e i bottoni, lunga al ginocchio, con maniche a tre quarti e tasche profonde. Inoltre, la linea morbida a campana era molto pratica: Ashleigh, a cui mancava una settimana alla data presunta del parto, intuì subito la versatilità di un abito di questa fattura anche per donne incinte.
L’abito originale era stato realizzato in un vivace tessuto wax print (tessuto stampato a riserva con la cera, molto in voga in Africa) da Flo, una sarta di Nairobi. Sandra e Flo lo avevano progettato insieme, prima di un viaggio di lavoro nel Sud Sudan. Era stato pensato per essere leggero, arioso, e appropriato per un viaggio in un paese conservatore, con tasche grandi a sufficienza da poter contenere varie cose.
Sandra aveva vissuto con quell’abito addosso per due settimane, e, anche se era stato progettato per essere pratico e modesto, le piaceva come le stava. “Era comodo per camminare e guidare per lunghe distanze, traspirante e facile da lavare e asciugare, pronto da indossare il giorno successivo”.
Ma non solo: indossandolo con dei tacchi, Sandra era stata in grado di trasformare l’abito in un outfit elegante per il matrimonio della sua amica e di riscuotere parecchio successo, specialmente con Ashleigh. Ma, oltre ad essere legate dal vestito, le due donne si ritrovarono a condividere un'illuminazione: “Io e Ashley siamo impulsive, ma anche guidate dall’istinto”, dice Sandra in merito alla loro relazione unica. In un gesto di entusiasmo, Sandra si offrì di comprare del tessuto, portarlo a Flo e far fare un vestito per la sua nuova amica.
Finita la cena, Sandra e Ashleigh si lasciarono con una domanda: perché non creare una collaborazione per vendere gli abiti?
Dopo la nascita della bimba di Ashleigh, le due donne si ritrovarono per cena e Sandra presentò ad Ashleigh il vestito fatto su misura. Ashleigh ne rimase colpita. Sandra le aveva promesso di farle fare l’abito, e l’aveva fatto davvero. “Tutti diciamo cose del genere, ma poi nessuno le fa veramente — di solito”, racconta Ashleigh.
Le due donne erano rimaste colpite l’una dall’altra sia sul piano personale che su quello professionale. Finita la cena, Sandra e Ashleigh si lasciarono con una domanda: perché non creare una collaborazione per vendere gli abiti?
Non avevano molto da perdere: serviva solo un investimento iniziale minimo per avviare l’attività, senza bisogno di lasciare i rispettivi posti di lavoro. Il modello di business semplice e i bassi investimenti necessari resero la decisione davvero facile. Per come la vedeva Sandra, “poniamo che nessuno li compri. Non è un costo enorme, vuol dire che ci ritroveremo semplicemente con più vestiti per noi”. Fu così che lanciarono Zuri, con alcuni abiti, un account Instagram e un sito di ecommerce molto minimal.
“Just one dress” — lo slogan originale, ovvero “Un solo vestito” — è ancora perfetto. È una frase che dice tutto: l’abito Zuri è adatto a ogni occasione, da un reportage nel remoto Sud Sudan a un matrimonio in città. È uno slogan che si rivolge all’acquirente ideale di Zuri: un’amante dell’avventura che si sposta da un ambiente all’altro e non ha paura di indossare stampe grandi e colori accesi.
Le due donne hanno capito di poter gestire razionalmente la loro collaborazione, superando l’umidità, i viaggi estenuanti e le pressioni fiscali e personali di una nuova impresa.
Sandra e Ashleigh hanno ottenuto i primi clienti attraverso i social media, ma hanno cominciato a guadagnare terreno solo dopo aver lavorato con Diana Opoti, un’influente produttrice, pubblicista ed esperta di social media keniana, famosa nel panorama della moda africana. Diana ha indossato abiti Zuri per gli eventi della Fashion Week in Sud Africa e Nigeria.
Per soddisfare la domanda crescente seguita alla sponsorizzazione di Diana, le donne sono andate in Tanzania, per rifornirsi di tessuti a Kariakoo, il più grande mercato di Dar es Salaam, la capitale costiera. Quel viaggio ha segnato un punto di svolta. Le due donne hanno capito di poter gestire razionalmente la loro collaborazione, superando l’umidità, i viaggi estenuanti e le pressioni fiscali e personali di una nuova impresa. Alla fine, Sandra si è trasferita a New York, e avere una presenza fissa negli Stati Uniti è stato vantaggioso nell’ottica di una crescita. Tuttavia, i diversi fusi orari (Ashleigh vive ancora a Nairobi) hanno complicato un po’ le cose: WhatsApp è fondamentale per permettere alle due donne una costante comunicazione.
Un altro punto di svolta, dopo il primo viaggio in Tanzania e il contatto con Diana, è stato un articolo del New York Times sul loro brand. “Il nostro brand non è cresciuto lentamente. Eravamo molto piccole e all’improvviso ci siamo trovate a fare un sacco di roba”, racconta Sandra. La domanda era troppa per i sette sarti che cucivano gli abiti di Zuri, perciò la produzione è stata spostata nelle fabbriche in Kenya. Le donne dicono di aver visitato le fabbriche e di essersi assicurate che i vestiti venissero confezionati in un ambiente sicuro per i lavoratori. Sostengono inoltre di pagare agli operai la tariffa di mercato, in linea con il sistema nazionale.
Stiamo creando opportunità per gli individui nel mercato del lavoro ufficiale, in cui hanno accesso a diritti e tutele.
Ashleigh Gersh Miller e Sandra Zhao
Alcuni esperti di sviluppo, tra cui Jessica Horn, direttrice dei programmi per il Fondo africano per lo sviluppo delle donne (AWDF), si sono espressi contro i modelli di business che promettono di far avanzare le donne attraverso le arti, il cucito e altri mestieri simili. “Molti dei modelli di creazione di reddito sviluppati per le donne africane in realtà non cambiano di molto il potere economico delle stesse”, afferma Jessica. “Presuppongono un’istruzione minima, competenze di basso livello e salari bassi, e non fanno un granché per cambiare la situazione”.
Da parte loro, le fondatrici di Zuri dicono che stanno lavorando con produttori che pagano salari equi. “Stiamo creando opportunità per gli individui nel mercato del lavoro ufficiale, in cui hanno accesso a diritti e tutele”, affermano Ashleigh e Sandra.
Ashleigh e Sandra hanno avviato Zuri negli Stati Uniti inizialmente attraverso negozi pop-up a San Francisco, Malibu e New York. Ma con i pop-up, osserva Ashleigh, era “difficile gestire l’inventario, sapere quale tipo di spazio ottenere e come pubblicizzarsi”. Nel 2017, lei e Sandra hanno aperto il loro primo vero negozio Zuri nel West Village di New York. Dato il cameratismo che si era creato nei pop-up, Ashleigh e Sandra hanno deciso che valeva la pena di investire nella creazione di uno spazio fisico in cui le persone potessero provare i vestiti e sperimentare il brand di persona.
Le fondatrici di Zuri sono entusiaste della risposta ottenuta fino ad ora. Dopo aver iniziato un piccolo progetto collaterale per firmare un contratto di locazione a Manhattan in così poco tempo, le due non vedono l’ora di vedere dove arriverà il loro brand. “Vogliamo continuare a crescere con il ritmo giusto per noi”, conclude Ashleigh.
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